per non dimenticare - l’eccidio di Orta di Atella. (fonte http://www.iststudiatell.org/rsc/art_8n%5Crappresaglia_nazista.htm )
Secondo le ricostruzioni più attendibili, tutto ebbe inizio nelle prime ore del mattino, allorquando, nei pressi della baracca di legno dove tale mastu Vicienzo Tizzano esercitava il mestiere di ferracavallo, sita sulla provinciale Aversa-Caivano, si erano raccolti, sull’onda delle notizie portate da uno sfollato napoletano che riferiva di scaramucce in città fra truppe tedesche e napoletani, ma anche in risposta ai rastrellamenti dei giorni precedenti, una cinquantina di dimostranti che, armati di fucili da caccia, pistole ed arnesi vari, affrontavano gli sparuti soldati tedeschi di passaggio.
Guidati dal professore Matteo Calisti, un ex ufficiale di origini siciliane che aveva combattuto la I guerra mondiale, e da Adamo Ernesto Salvatore, ex comandante dei Vigili Urbani, si trattava, per lo più, di padri di famiglia che imbracciavano le armi per difendere le mogli e le figlie dalle razzie tedesche, di giovanotti che volevano fare gli eroi, di soldati sbandati che ambivano a passare per patrioti, ma anche di persone dedite ai furti e alle violenze. In particolare un energumeno, sospettato peraltro di collaborazionismo con gli stessi tedeschi, si era avventato contro uno di essi picchiandolo selvaggiamente, mentre altri due giovani militari tedeschi erano stati fermati a bordo del loro camion, imprigionati nella torre del Bruzzusiello e solo dopo alcune ore liberati dopo aver chiesto degli abiti civili per potersi allontanare indisturbati. Intanto il camion era stato portato dalle parti della Crocesanta (l’attuale via Del Vecchio) e svuotato del suo contenuto ancorché la maggior parte della popolazione disapprovasse il gesto temendo una possibile vendetta da parte dei tedeschi.
E, infatti, la risposta, non tardò ad arrivare. Nel tardo pomeriggio in via Chiesa sopraggiunse una camionetta tedesca con 12 soldati armati di tutto punto seguiti da un’altra cinquantina di militari a piedi che inferociti forzavano le porte delle case e, armi spianate, trascinavano fuori uomini, donne e bambini. Portate in piazza San Salvatore le persone catturate intuirono ben presto le vere intenzioni dei tedeschi, quando uno di loro, appostato sul balcone di palazzo Greco, di fronte al convento, sparò, scambiandolo per un civile malintenzionato, e ammazzandolo sul colpo, all’ignaro fra Fedele, un anziano e malaticcio francescano che, portatosi alla finestra della propria cella apertasi a causa di un’improvvisa folata di vento per chiuderla, si apprestava, su invito degli sgomenti e spaventati malcapitati radunati nella piazza sottostante, a benedirli. Subito dopo l’efferato episodio (si era ormai quasi all’imbrunire), gli uomini furono separati dalle donne e dai bambini e spinti, sotto la minaccia delle armi, lungo corso Vittorio Emanuele, verso la provinciale Caivano – Aversa, dove, disposti lungo un vecchio muro di cinta che correva parallelo alla strada furono, alfine, falciati dalle armi di un plotone di esecuzione. Sul terreno, restarono, esanimi, i corpi di 20 innocenti.
I loro nomi e l’età: Cannella Vincenzo di anni 28, Castellano Vincenzo di anni 35 e suo figlio Michele di anni 18, Chianese Arcangelo di anni 62, Daniele Salvatore di anni 55 e il figlio Antonio di anni 15, De Sivo Guido di anni 54, Di Letto Salvatore di solo 17 anni, Di Lorenzo Alessandro di anni 58, D’Onofrio Gioacchino di anni 71, Ferrara Michele di anni 39, Greco Corrado di anni 43 e suo fratello Mario di anni 41, Lazzaroni Aldo di anni 22, Pellino Oreste di anni 17, Ricci Vincenzo di anni 44, Romano Salvatore di anni 49, Serra Salvatore di anni 49, Serra Sossio di anni 58, Sorvillo Massimo di anni 57 e Zarrillo Giovanni di anni 31. Sopravvisse alla falcidia (per essersi finto morto o forse, chissà, per il pietoso gesto del soldato incaricato di finire chi non era ancora spirato) solo Salvatore Costantino, rimasto leggermente ferito ad un braccio. Quando ritornò al paese, smarrito e tremante, lo trovò in preda alle fiamme in più punti (37) e completamente deserto: le donne e i bambini erano riparati, parte nella vicina Succivo, parte nelle grotte sottostanti ai palazzi, mentre gli uomini scampati al massacro si erano nascosti un po’ dappertutto, chi sui tetti del luogo detto di Panico, attiguo al transetto della chiesa di San Massimo, chi nei fienili, chi nel convento di San Salvatore. Quella sera gli unici a percorrere fino a notte inoltrata le strade del paese, prima di abbandonarlo, furono oltre a qualche cane o gatto randagio, i tedeschi, ancora alla ricerca di possibili vittime. Il giorno successivo, ai primi ortesi accorsi sul luogo del massacro si offrì uno spettacolo raccapricciante: i corpi dei poveri sventurati giacevano con gli abiti sforacchiati nelle pose più disparate, chiazze di sangue ingrumito imbrattavano il muro, rivoli di sangue si perdevano fra l’erba mischiandosi al fango. Grazie alla pietosa opera dei parenti e di alcuni volontari i cadaveri furono rimossi, trasportati nelle loro abitazioni e poi inumati nel locale cimitero. Nel frattempo il buon parroco, don Salvatore Mozzillo, diffusasi la voce che i tedeschi si apprestavano a radere Orta al suolo, accompagnato da due bizzoche, si era recato al comando tedesco di Crispano per impetrare la grazia di risparmiare il paese, offrendo dell’oro raccolto presso alcune famiglie e promettendo di adoperarsi per recuperare il bottino sottratto dal camion il giorno precedente. Qualche giorno dopo, infatti, accompagnato da Michele Del Prete, un sarto di Orta, si recò a Frattamaggiore, presso il linificio, dove era alloggiato, come si accennava in precedenza, un reparto tedesco adibito al controllo della contigua linea ferroviaria, per restituire parte della refurtiva sottratta.
ndr - l'età di Vincenzo Castellano non era 35 anni come riportato erroneamente nell'articolo